Anche il mio blog si trasferisce

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Il caso vuole che questo post sia anche il 100esimo poste del mio blog, sul quale scrivo con alternata continuità dal 2011. Mi sembra tutto così perfetto, simmetrico, 5 anni, 100 post. Non pare anche a voi? Beh…

Vi consegno ufficilmente il nuovo link del blog perchè tutto cambia e niente finisce.

 

 

 

 

 

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Senza più niente d’aspettare

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Dopo quasi dieci anni lascio la casa in cui ho abitato a Roma, la prima casa tutta mia da sola, con contratto ed utenze intestate. Due stanze, cucina, balcone con rampicanti e tavolino. Vista su piazza Vittorio e  San Giovanni. Lascio la casa che mi ha protetta e nascosta negli ultimi anni. Lascio tutte le idee di me con cui sono arrivata, e che mi portavo dietro fin dall’infanzia. E  pure tutte le idee su quella che doveva essere la mia vita. Lascio tutte le illusioni, le fantasticherie e le proiezioni. Lascio l’attesa instancabile della felicità che sarebbe venuta e che, pure quando è venuta, è sempre poi sfumata via. Lascio la paura, la rabbia, la tristezza e le lacrime. L’abusata consolazione delle lacrime.  Lascio l’idea sbagliata di essere sbagliata, lascio gli amori che non ho cpaito e che non mi hanno capito. Lascio l’attesa  che le cose si mettano a posto facendo finta di niente, lascio l’invidia, il rancore e la paura per il futuro. Lascio tutte gli scusa che ho detto, sperando di essere perdonata, lascio tutti perdonati. Lascio la solitudine, amica preziosa di scoperte in terre lontane, tiranna e torturatrice. Lascio le mie piante e l’esperienza che un germoglio nasce, anche dopo due anni, nasce quando sarà il suo momento. Lascio la mia bambina triste e solitaria, lascio il suo mondo piccolo e timoroso, dove le cose potevano accadere solo se tutto fosse stato perfetto. Lascio la scusa della perfezione che mi ha imprigionata  nel giudizio.

Domenica alle sette del mattino i traslocatori verranno a caricare gli scotoloni e gli armadi smontati. Porto con me sole le cose belle, le cose mie, quelle che ho costruito con le mie mani e il mio sudore. Porto con me l’esperienza dolorosa ed esaltante di essermi scolpita con le mie stesse forze. Porto con me la consapevolezza di non essere più un’idea ma una storia in divenire, un storia da scrivere e da lasciare accadere.  Porto con me la scoperta dell’amore, che non so dire ancora, ma finalmente non manca più. Porto come la forza preziosa della responsabilità di me, e la liberazione da ogni catena e cordone ombellicale.  Porto con me solo quello che mi piace, quello che so che avere accanto mi darà energia, mi farà sorridere. Lascio i bei vestiti, porto i miei vestiti. Porto la forza di sorridere andando via, porto il coraggio di dire resta a chi voglio accanto. Porto la mia storia finalmente.

In queste utlime settimane in cui ho organizzato il trasloco e impacchettato le mie cose, mi sono stupita della rapidità con cui sceglievo cosa lasciare e cosa buttare o regalare. Ero rapida, perchè lo sapevo già. In questi dieci anni avevo collezionato nella mia mente una minuziosa lista di ciò che non volevo con me. Libri, oggetti, pensieri, vestiti, persone, situazioni. Una lista che ho passato in rassegna migliaia di volte, e che ha succhiato tanto del mio tempo. Necessario si potrebbe dire, tanto dico io. Ecco, ho aspettato di togliere quel libro dalla mia libreria,  con lo stesso timore con cui ho aspettato la felicità. Come una rivelazione, come se quel libro che mai e poi mai avrei voluto leggere, un giorno mi avrebbe potuto interessare, così ho aspettato la felicità. Oggi so che la felicità non si aspetta, e che non c’è niente di più felice che scrivere queste parole sulla mia scrivania, circondata ormai solo da scatoloni, e sapere che io sono io. E questa è la felicità.

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C’è chi lo chiama Karma…

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Certe vite sembrano segnate da un’originalità che le fa risaltare agli occhi di tutti, chiamiamo queste persone genie, eroi, folli, ma a bene guardare quell’originalità coincide  con lo stare costantemente e coraggiosamente fuori dall’ovvietà di tutti gli schemi che imbrigliano la realtà. Se poi si guardasse meglio però si scoprirebbe che le vite di tutti, proprio di tutti sono segnate da tanti minimi e aninimi slittamenti fuori dalla banalità , nel tentativo spesso incoscio di cercare la propria strada. Tutti proviamo a dire la nostra qualche volta nella vita, tutti proviamo ad innalzarci contro la banalità dell’ovvio.

Io ricordo una delle mie prime volte è stato al liceo, ultimo anno. Il nostro storico professore di latino e italiano aveva accettato il trasferimento in una scuola romana (io allora vivevo a Tivoli) ed era stato sostituito da una nuova professoressa che, perchè arrabbiata con il professore che ci aveva lasciato, perchè nel pieno dello Sturm und Drag dell’adolescenza, avevo rifiutato fin dall’inizio. Alla consegna del primo compito di latino, io che prendevo regolarmente 7/8 mi ritrovai con un 6-. Il mio compito era sbagliato perchè non corrispondeva parola per parola alla traduzione che lei aveva preparato da casa e con il foglio propotccolo alla mano insisteva a mostrarmi. Io in piedi davanti al banco, contestai ogni correzione, insultandola non con le parole ma con la mia aperta sfida. Finì male. Fui invitata a venire il giorno dopo accompagnata da mio padre e poi a scusarmi per l’accaduto. Fu orribile.

D’allora è successo ancora, di sfidare a muso aperto persone di cui non riconoscevo l’autorità, e anche queste volte di pagare pesantemente. Un karma difficile di direbbe, eppure se ci penso mi rendo conto oggi che quelle sfide erano il mio solo modo, per niente strategico, lo riconosco, di uscire dai binari dell’ovvio e cercare la mia strada.

Di sfida in sfida sono arrivata ad “Appassionate, donne che fanno della loro passione un’impresa” la mia creatura che, come mai prima, racconta il mio punto di vista sul mondo, finalmente non più conflittuale ma  proattivo e creativo.  l’affermazione di sè passa per il piacere di quello che facciamo con il nostro lavoro tutti giorni, questo racconta Appassionate, il cui sotto titolo è QUELLO CHE TI PIACE FARE E’ CIO’ CHE SAI FARE MEGLIO.

Ai giorni del liceo non lo sapevo ovviamente, così per difendere il piacere di tradurre caddi nella trappola della sfida rabbiosa, che si rivelò totalmente perdente, vista la sproporzione di potere che c’era tra me e lei . Oggi invece lo so, tanto che nei momenti di stanchezza o frustrazione mi ricordo che il piacere non lo devo difendere, ma lo devo vivere e che così facendo, sciolgo la frustrazione, che così scompare e lascia alla mia anima lo spazio per rifiatare.

Il piacere per quello che facciamo è la nostra fonte certa di soddisfazione e di amore. Prima ancora di qualsiasi ricompensa, prima di qualsiasi carezza. Il piacere di quello che facciamo produce amore per noi, liberandoci da quella paura primordiale di non essere amati, che lambisce costantemente le nostre vite aspettando i momenti di fragilità o instabilità per risucchiarci.

Quando tutto sembra crollarci addosso, quando ci verrebbe solo da piangere, non dobbiamo più fare l’errore di arrabbiarci, tanto da sfidare chi o la cosa che ci sta rendendo la vita difficile. Dobbiamo invece sforzarci di avere la lucidità di andare verso il nostro piacere, verso la cosa che sappiamo fare meglio. Cantare, suonare, coltivare il nostro giardino, cucinare, scrivere, progettare, comporre, insegnare, qualsiasi cosa che sappiamo fare bene e che ci piace fare è la nostra più diretta fonte di amore per noi e solo seguendola  recuperiamo la calma della gratitudine, e la serenità per andare avanti.

Ben vengano allora scattare dinanzi a ciò che non ci piace e che non ci appartiene, bene venga, è il richiamo del nostro piacere che sussura la strada per raggiungerlo. Ben venga il karma che ci porta all’amore per noi.

 

 

 

 

 

 

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Dimmi come fai, ti dirò che donna sei

Dopo il caffè e il consueto giro in balcone per verificare come hanno passato la notte i fiori in balcone, questa mattina ho ripreso in mano il progettone di Appassionate. Per chi non lo sapesse Appassionate nasce come libro, un reportage narrativo che racconta come le donne fanno impresa in Italia, e oggi, dopo un anno sta per diventare qualcos’altro, il progettone appunto. Ho una lunghissima lista di cose da fare e da capire e non nego che a volte mi blocco, per la paura di andare avanti. Ho capito in quest’ultimo anno, che questo non è un motivo per piangermi adosso, nè per rinunciare, anche se ammetto ogni volta mirallenta.

Ho imparato infatti in questi ultimi due anni che ho dedicato al crowdfunding e alla scrittura di Appassionate che è nell’agire che io mi riattivo. Direte voi, ma se sei bloccata, confusa e impaurita, difficile che tu riesca  a fare qualcosa. Vero! Spesso ho assecondato la mia paura, i blocchi e ho rinunciato. Ho lasciato passare del tempo e poi sono ritornata là, a vedere che effetto mi faceva, e così è successo che un pochettino alla volta, passi microscopici alla volta io ho cominciato a memorizzare l’esperienza che la paura passa, e che ciò che credevo impossibile diventa possibile.

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FACENDO HO INCAMERATO L’ESPERIENZA CHE POSSO FARE.

Può essere più o meno difficile, e per me a volte è difficilissimo, ma mi impegno a ricordare che quella sensazione di impossibilità non è la verità, perchè ormai so che passa, svanisce, e che arriva il giorno in cui tutte le cellule del mio corpo saranno convinte che ciò che mesi prima sembrava impossibile, quel giorno si può fare.

Credo che le donne del nostro secolo subiscano la cultura di questa profonda mancanza di esperienza, esperienza del fare cose nuove, del fare errori e poi ripartire, esperienza di chiedere. Credo convintamente che è proprio superando quel limite noi donne scopriremo dentro di noi nuovi territori del sentire e dell’immaginario che ci permetteranno di essere come non mai le nuove artefici della realtà in cui tutti abitiamo. Questo racconta anche il mio libro, come 10 imprenditrici partendo dalla loro passione hanno trovato la forza di investire sulla loro idea e diventare autonome, creando valore sociale ed economico.

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Questa mattina, dopo aver annaffiato i fiori e inviato alcune mail facili, sono uscita a prendere un caffè in piazza; mi ero bloccata. Bloccarsi, inevitabilmente fa scattare in me il senso di colpa, il senso di incompetenza, e questo scava ancora un poco la mia buca. Camminavo piano, triste e rallentata, eppure una parte di me ricordava che se avessi fatto un gesto, un gesto non troppo grande per affermare la mia intenzione sarei uscita dall’angolo. Così mi sono seduta al sole davanti ad un caffè e ho studiato  una brochure che mi serviva per il mio progetto. Poi sono rientrata ho preso appuntamento con i referenti di de progetto che avevo studiato e ho scritto questo articolo.

L’impossibile non è vero, io posso e fuori è ormai estate.

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Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio

Per alcuni anni ho tenuto un post it appiccicato su uno sportello in cucina che riportava questa frase, me l’aveva detta una cara amica. La guardavo ogni mattina e mi dicevo che doveva esserci un messaggio per me e che sarei riuscita a tirarlo fuori. Inizialmente mi limitavo a guardarlo, cercando di attivare una specie di connessione spirituale, anche perchè come trasformare quella frase in realtà io non lo sapevo e non sapevo nemmeno come cominciare a provarci. Probabilmente ai miei occhi appariva più come una formula magica, che non apparteneva la mondo delle cose fattibili, e come tale si sarebbe realizzata per altre vie.

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Negli stessi anni sono incappata nel web in una foto che molti porobabilmente hanno visto, che ho scaricato e usata come desktop del mio computer, profondamente gelosa della mia scoperta.

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Col tempo ho smesso di fissare il mio post it in cucina, ho cambiato foto sul desktop e ho cominciato con molta fatica a fare quello che mi piace fare, scrivendo per giornali, scivendo un libro, e cogliendo ogni occasione per ricordarmi che prima o poi avrei trovato il modo più sostenibile di vivere la vita che mi piace. Intanto però ho capito che il lavoro remunerabile non è solo quello che fino ad ora abbiamo inteso, produzione di oggetti o servizi, per i quali sembra logico pagare. Il lavoro per il tempo presente, e credo per quello che sta arrivando, sarà per molti quello di produrre senso. Raccontare gli uomini e le donne, raccontare le loro relazioni, raccontare i nuovi modi di vivere e le nuove scelte che alcuni cominciano a fare. Soffiare nelle menti delle persone un nuovo senso che ci faccia respirare di nuovo a pieni polmoni, fino a cominciare ad essere creatori liberi e appassionati della nostra vita di tutti i giorni. Difficile spiegarlo a chi mi chiede i numeri, la definizione, di quello che voglio fare.

Per gli scettici, allego qui il sito che sta dietro al bel manifesto che ho pubblicato qua sopra, un sito ecommerce, un sito che si regge solo sulla vendita in tutto il mondo di un’idea, quella che sta scritta in quel manifesto:. un esempio eclatante di come il senso diventerà il prodotto del futuro.

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Cosa impariamo dalle lavoratrici Appassionate

Il Corriere della Sera – La Nuvola del lavoro

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Video Appassionate ad HiTalk

Abbiamo bisogno di esempi…di donne. Abbiamo disperatamente, tutti bisogno di ascoltare i pensieri di donne che facendo quello che più piace e interessa, sono riuscite e diventare un esempio. Abbiamo bisogno di esempi donna,  che non hanno paura di essere femminee però! Continua a leggere.

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PER FORTUNA NON HO PIU’ 20 ANNI

All’età di ventun anni ho lasciato il fidanzato del liceo e sono partita per Oxford, sarei dovuta stare un mese, rimasi sei. Prima del mio ritorno scrissi ai miei genitori una lettera in cui dicevo che in qui mesi avevo scoperto cose di me che non sapevo di essere e che per questo non sarei ritornata alla mia vita precedente, non avrei permesso nemmeno a loro di farmi cambiare idea. Così tornata in Italia sono andata a vivere a Roma, sebbene i miei avessero provato ingenuamente a convincermi a restare a casa, proponendomi di comprare una utilitaria tutta per me. Quel trend di scoperte e rivoluzioni, sarebbe continuato per un bel pò, fino ai 28 anni almeno, quando credendo di aver incontrato il principe azzurro siamo andati a vivere insieme. Nel frattempo cominciavo a lavorare facendo cose molto belle, eppure nè lavoro, nè fidanzato sono serviti a darmi la felicità, anzi. Il principe azzurro è scomparso e i lavori hanno cominciato ad essere tanti, troppi, sempre nuovi. I miei trent’anni perciò sono stati completamente dedicati a mettere a posto tutto quello che fino a vent’anni avevo creduto vero e che durante i venti avevo capito non esserlo. A quarant’anni, oggi, finalmente mi godo la vita.

Per questo rimango stupita quando pubblicità e eventi dedicati, propongono alle donne di avere 20 anni. Perchè?

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A vent’anni si è onnipotenti, io ricordo che sentivo di avere una mano gigante che mi spingeva a fare cose che agli occhi degli altri parevano assuurde. Eppure non rimpiango nulla, e non vorrei tornare indietro. Quaranta, cinquanta, sessanta sono anni che hanno un potere che invece ripensare ai ventanni non può darci: il potere del presente. Oggi io posso dare forma alla mia vita, oggi ho dalla mia il potere di essere qui e ora, quello di alzarmi per fare una valigia e partire, oppure scivere questo post e dare suono alla mia voce. La melanconia del passato non ha mai ispirato nessuno a cambiare il mondo, anzi avvilisce, toglie energie e distoglie dal presente che invece è la più inebriante delle età.

Le donne, gli uomini, insieme o singolarmente sono i veri creatori della realtà che abitiamo, più uomini e donne si danno alla creazione del presente più saremo felici, soddisfatti, e appagati.

Cosa volete fare? fatelo ora.

Cosa volete dire? Ditelo adesso.

Dove volete andare? Cercate subito quanto costa il biglietto, che aspettate.

Io ora sono felice. E per fortuna, non ho più vent’anni.

 

 

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La reversibilità che tiene le donne ancorate al passato.

Il Corriere della Sera  – La27esimaora

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Quando ero piccola il giorno in cui mia nonna riscuoteva la pensione di reversibilità di mio nonno, era un giorno di festa. Se capitava che fossi con lei, dopo essere andate alla posta si faceva una grande spesa e magari si passava dalla merceria sotto casa, da Elvira, dove poteva succedere che mi comprasse un cappellino o un maglioncino. Era la fine degli anni ‘70 ed era romantico pensare che nonno le stesse accanto anche se non c’era più, e che con i suoi regalini stesse accanto anche a me. Avevo capito che quei soldi non bastavano a fare niente, ma quelli non erano problemi di una bambina; la reversibilità mi affascinava, l’idea che lo stipendio di lui passasse a lei, lo trovavo meraviglioso, un’onda d’amore che si propagava in eterno. Continua a leggere.

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Suffragette, siamo ancora noi oggi

Il Corriere della Sera – La27esimaora

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«Non so se ci sarà mai, ma un mondo al femminile sarebbe auspicabile». Finisce così la mia cena con Chiara Simonelli, psicologa, fondatrice dell’Istituto Italiano di Sessuologia Clinica, alla quale ho proposto di andare insieme all’anteprima romana di Suffragette, il film di Sarah Gavron e sceneggiato da Abi Morgan. «Il sesso è da per tutto, in tutte le cose che facciamo la nostra energia sessuale ci accompagna o ci ostacola. La sessuologia si incontra sul crocevia di mente, corpo e società». Continua a leggere.

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MEI HON, commercialista che i cinesi chimano ZIA

Il Corriere della Sera – La Nuvola del Lavoro

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“Difficile far capire ai miei clienti cinesi che quello che incassano non è il guadagno” dice sorridendo Mei Hon, proprietaria di uno dei primi studi commercialisti per cinesi di Roma, soddisfatta ma anche consapevole dell’enorme lavoro che deve fare. Continua a leggere.

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